Io ho un sogno

" L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà, se c'è né uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. "
Italo Calvino - Le città invisibili


Era un cervello che galleggiava nel vuoto assoluto, non c'era più nessun rapporto con il mondo esterno, tutto era buio, silenzioso, intangibile, né caldo, ne freddo, ogni sensazione completamente inibita, il nulla nella sua più completa essenza. Ma stava pensando, quindi non poteva essere nulla? C'era quel filosofo dei tempi antichi che diceva: " cogito ergo sum " quindi doveva essere vivo.
Un dubbio atroce lo attanagliava, poteva "essere", ma non sapeva con certezza se era vivo o morto. In fondo nessuno era mai tornato dal mondo delle anime per raccontare ai vivi come era veramente l'aldilà. E se la fine era questa? Anche il tempo era difficile da decifrare in quello stato, i suoi pensieri potevano durare meno del battito d'ali di una farfalla o una singola affermazione vedeva imperi sorgere e crollare, chi poteva saperlo?
Non riusciva a capire le sue stesse emozioni, paura, curiosità, angoscia, stupore, si intrecciavano nella sua tormentata anima. Improvvisamente, come se qualcuno aveva tirato una leva magica dentro di lui ( o lei, non si ricordava con precisione), iniziò a sentire una vaga sensazione, come di torpore... aveva delle gambe! E delle braccia! Doveva essere sdraiato su una sorta di letto, coperto da un lenzuolo di una stoffa molto ruvida, aveva freddo e un dolore alla spalla destra che sembrava strinta da una fasciatura.
Lentamente il nulla si sciolse, i ricordi e le sensazioni iniziarono ad inondarlo. Era una droide, si trovava in una città, quando... adesso c'era di nuovo il buio... però riusciva a percepire un sapore metallico nella sua bocca, sangue ... si, aveva ricevuto una discreta quantità di colpi sul viso. Ora era la volta dell'olfatto, respirò profondamente per cacciare dentro il naso più aria e odori possibili... sangue, erbe medicinali, legno bruciato, olio da lanterna e tutta una nutrita serie di puzze indescrivibili ma di chiara origine organica. Sudore... correre... paura... scappa... dolore... frammenti di antichi ricordi riaffioravano come pezzi di una nave dopo un naufragio sulla superficie agitata della sua memoria. Le orecchie reclamarono la sua attenzione con un fischio acuto che gli trapanò la testa da parte a parte, tutti i suoni gli arrivano distanti come da dietro un muro di ovatta, distingueva a malapena lamenti, grida di dolore, il tossire rauco di qualcuno, il pianto di una donna disperata, un bambino che strillava ... le parole erano però, ancora un borbottio sconnesso e indecifrabile.
Amiril... corri... scappa... se ci prendono ci venderanno al sindacato... ammazzeranno... Amiril... Ecco il suo nome, Amiril ed i suoi compagni stavano scappando da qualcuno... chi? Semplici popolani desiderosi di farsi giustizia da soli? Soldati di guarnigione? Futuristi? Mercenari dell'artiglio? Altri droidi traditori? Mutanti sul piede di guerra?... Non dovevano... non avrebbero dovuto rifilare quella fregatura al mercante, avevano disperatamente bisogno di soldi, Kemow... prima che si accorga saremo già dall'altra parte di Jadraw... I mutanti... erano stati loro, il piano non aveva funzionato ed il mercante gli aveva mandato contro i suoi scagnozzi. Ci fu uno scontro ed ora... - ... sospettano che sia una droide - Non riuscì a cogliere la frase nella sua interezza, tuttavia, quelle poche parole bastarono a renderla ancor più agitata e nervosa. Ma certo! La curavano per poi venderla come concubina di qualche sultano del regno di Sarum spacciandola per umana e tagliandole la lingua per evitare ogni possibile noia. Doveva fuggire ad ogni costo da quell’ospedale, raccolse tutte le forze che gli rimanevano in corpo, cercò di alzare le palpebre, pesanti come serrande di piombo, il mondo gli appari di nuovo, attraverso una lente sfocata, i contorni di cose e persone erano difficili da definire e tutto sembrava danzare vorticosamente di fronte a lei in un'amalgamarsi di figure colorate. Tentò di alzarsi ma riuscii solo a sollevare lievemente la schiena dal giaciglio.
- No, non alzarti, sei ancora troppo debole - consigliò una voce carica di gentilezza genuina al suo fianco, poi una mano forte la spinse delicatamente a sdraiarsi di nuovo sul letto. Cercò di mettere a fuoco la figura al suo capezzale, socchiuse gli occhi, ma non riusciva a credere a quello che vedeva tanto era strano. Era un mutante dalla pelle rosso fuoco, vestiva in maniera molto semplice, un paio di pantaloni marroni e una camicia rattoppata in più punti, sporca qua e là di sangue, sulla fronte aveva un terzo occhio, un rubino lavorato sicuramente da un artigiano della sua stessa razza. Sul suo muso affusolato (perchè di muso, e non di viso si trattava) da mustelide sorrideva ad Amiril, aveva dei grandi occhi verdi e un piccolo naso nero. Ma la cosa più particolare di tutti erano i "capelli", no i mutanti non hanno peli del corpo, questo lo sapevano tutti, ma dai lati del suo cranio penzolavano come una sorta di "tentacoli" una dozzina in tutto, dello stesso colore della pelle, che ricadevano fin oltre le spalle, di forma conica leggermente affusolata decorati qua e la con anelli d'oro.
Amiril rimase a fissarlo per un pò meravigliata, poi in un impeto di fuga, tentò di alzarsi di nuovo per scappare, ma non fece quattro passi che crollò a terra, le gambe non riuscivano a sorreggerla, in un ultimo disperato tentativo cercò di uscire dalla stanza trascinandosi con le braccia, ma fu tutto inutile, il mutante la prese se la caricò sulle spalle per poi distenderla sul letto. - Non scappare, siamo qui per aiutarti, appena ti sarai rimessa in sesto, potrai anche fuggire, ma con queste ferite sei una preda fin troppo facile - disse il mutante, controllando che le fasciature sulla spalla non si fossero spostate nella colluttazione. Amiril non rispose, chiuse gli occhi e spostò lo sguardo verso il muro, non si fidava delle parole di questo animale, era troppo gentile, troppo ben disposto, sicuramente se lo faceva era per ottenere qualcosa in cambio.
Il mutante sospirò - Io mi chiamo Malachi, tu sei Amiril, giusto ? - La droide si girò di scatto e chiese con tono sprezzante - e tu come fai a saperlo, bestia? - Malachi rispose imperturbabile - Me lo ha detto il tuo amico Kemow... - ma fu interrotto da Amiril che trattenendo a stento le lacrime domandò - Dove è? Sta bene? - Il mutante rise sguaiatamente - Come fino a un attimo fa ero una bestia e adesso pendi dalle mie labbra? Comunque lo abbiamo portato in un'altro ricovero, da quanto mi hanno detto si riprenderà in fretta, sempre se non scappa prima - Amiril venne confortata da questa notizia, ma nuovi dubbi l'assalirono: doveva essere più fiduciosa nei confronti del suo interlocutore? Cercava forse di estorcergli con la gentilezza invece che con le torture i nomi di altri droidi? Voleva alimentare la sua speranza in modo da farla guarire prima per poter venderla?
- I mutanti di solito impalano droidi e cyborg, quanto speri di guadagnare dalla nostra vendita? - disse Amiril acida. Malachi scosse la testa sbuffando e roteando le orbite verso il soffitto - No, non sono uno schiavista, so che ti sembrerà assurdo ed in fondo posso capirti, ma io, o meglio il popolo del nuovo sole, vogliamo solo aiutarvi, guarite, poi potrete decidere se pagare il debito con il mercante e presentargli le vostre scuse o scappare - La droide rimase colpita con quanta sincerità parlava la bestia: sincerità, speranza, concordia, fiducia, compassione, misericordia... ormai le sembravano parole buone soltanto per le favole e inutili nel mondo reale, sembrava impossibile, eppure si sarebbe abbandonata volentieri a queste semplici "parole delle favole".
- Tu non ti fidi di me, vero? - chiese Malachi - So cosa ti passa per la testa, posso capirti, hai vissuto tutta la tua esistenza nella paura e nella paranoia, adesso che qualcuno ti offre il sua aiuto non puoi... o meglio non vuoi credere che non ci sia dietro una trappola, preferisci pensare che io sia uno schiavista che ti venderà al miglior offerente? Beh guardati intorno - e indico con un gesto circolare la stanza. Amiril alzò lentamente la testa per vedere meglio, in un angolo una vecchia donna piangeva sopra il cadavere di un bambino, al centro del locale un cyborg ormai più nel regno delle ombre che in quello dei vivi riceveva l'ultima benedizione da parte di un sacerdote di Mystral, sdraiati su pagliericci e letti di fortuna c'erano diseredati d'ogni razza, età e sesso, alcuni morti in attesa di essere portati via. La droide finì la sua triste carrellata d'immagini e torno a fissare il mutante che disse puntando l'indice verso i pazienti - Ti sembra questa merce buona per gli schiavisti? Vecchi, malati e moribondi? - senza accorgersene Malachi aveva alzato il tono della voce fino quasi ad urlare e ora tutti nella stanza lo fissavano. Amiril si morse un labbro, tirando su con il naso, quel posto così deprimente alla vista, era in realtà una stupenda oasi in un arido deserto... non puoi... non vuoi... le parole del mutante riecheggiavano nella sua testa, non sapeva cosa dire, tutto era così rincuorante (sapere che c'è ancora del posto per la speranza) , ma così terribile (sapere che tutto questo poteva sparire in un'incursione dei soldati), nel caos imperante c'era qualcuno che si fermava a raccogliere i frammenti di una società esplosa per poter ricomporla. Rimase pensierosa, in silenzio, lo sguardo fisso sul cyborg morente, poi con un filo di voce chiese - Perchè ci aiutate? Siamo droidi, siamo i vostri nemici - Malachi emise uno strano verso, come un ringhio ferino soffocato, respirò profondamente e rispose trattenendo a stento la calma - Perchè? Siamo poi così differenti? Respiriamo la stessa aria, mangiamo e beviamo le stesse cose che Jadraw ci dona, vogliamo vedere i nostri figli crescere sani e felici e viviamo tutti sullo stesso pianeta... Nemici... E continuando a vedere nemici in ogni angolo, a massacrarci per futili questioni che ci ricondurranno all'apocalisse... se non peggio.
Le mani del mutante erano serrate a pugno, l'espressione in viso torva, sembrava dover scoppiare in una furia omicida da un momento all'altro, invece dopo aver fissato Amiril si rilassò distendendo i muscoli e abbozzando un sorriso nervoso disse - Noi vogliamo un mondo dove tutti possono vivere liberi e uguali, un mondo senza confini e barriere, senza padroni e schiavi, dove la cultura sarà accessibile a tutti, un mondo dove potremmo tutti dichiararci al tempo stesso unici e fratelli.
La droide rimase ad ascoltare con la bocca aperta, poi controbatté - Ma questa è un'utopia irrealizzabile! - Malachi, strinse la mano di Amiril e fissandola intensamente negli occhi disse - Ho letto un antico testo, è arrivato a noi in condizioni terribili e solo alcune pagine sono leggibili, non siamo ancora riusciti a capire di cosa tratta in effetti, ma una frase ha sfidato tutti questi anni per arrivare a me: Chi non crede in qualcosa per cui è disposto a morire, non è degno di vivere - strinse ancor più forte la sua mano e continuò - è un'utopia, forse hai ragione, ma io offro la mia vita per questo sogno. Poteva leggere negli occhi di quel mutante che c'era una luce "strana", differente da tutte quelle che aveva visto fino ad ora: c'era il sogno di una società migliore che magari nemmeno i nipoti dei suoi nipoti avrebbero visto, ma lui era contento così, sapeva di far parte di un progetto che poteva riportare Jadraw ad una nuova epoca di splendori.

Malachi


Dedicato a Martin Luther King (1929 -1968)